martedì 12 giugno 2012

Salto d'ottava

Da diverso tempo cerco di orientare le mie letture verso opere di scrittori vicini alla mia generazione. Sono esponente di quella categoria che le statistiche chiamano "lettore forte" e negli anni ho affrontato letture molto diverse, dai classici tradizionali ai cosidetti classici contemporanei italiani e stranieri, tuttavia negli ultimi anni ho cercato di leggere romanzi di autori italiani affini non solo ai miei gusti estetici ma anche vicini più o meno alla mia carta d'identità. Trovando spesso in loro qualcosa in più e meglio rispetto agli altri: un elemento che potrei definire come "risonanza".
L'ultimo in ordine di tempo che ho incontrato è stato Antonio Paolacci. Avevo preso il suo Salto d'ottava (Perdisa Editore, 2010), sarò sincero, attirato dalla gagliarda copertina di Onofrio Catacchio, dalla trama. E dall'incipit. Inevitabilmente, ogni libro che prendo finisce nella pila delle letture, ovvero il dominio del caso e dove lo status quo è infranto in ogni momento e in ogni dove. In pratica le letture non rispondono ad alcun criterio cronologico ma bensì a qualcosa di irrazionale.  
Salto d'ottava l'ho letto tutto d'un fiato, roba assai rara. Mi ha colpito la qualità della scrittura di Antonio Paolacci; precisa, misurata, asciutta senza essere arida, carica di pathos, perciò molto tesa, concentrata, senza scadere nel patetico. Esatta nel rendere una storia intensa e che si regge su equilibri assai esili, in fondo. Gran bel romanzo. Pregevole anche la cura con cui è realizzato l'oggetto-libro. Insomma, la piccola editoria indipendente si rivela vincente e per questo merita senz'altro la nostra attenzione dato che spesso gli autori emergenti hanno scarsa considerazione poichè si tende a ritenere che solo i grandi marchi producano buoni libri e autori di pregio.

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