mercoledì 23 maggio 2012

E la retorica s'impenna!

Il 23 Maggio del 1956 nasceva Andrea Pazienza, forse il più grande talento espresso dal fumetto italiano. Non riesco a immaginare Pazienza cinquantenne. Per una coincidenza del destino oggi 23 Maggio 2012 ricorre anche il ventesimo anniversario dell'uccisione di Giovanni Falcone. E come per ogni cadavere eccellente l'Italia intera si muove alle soglie della commemorazione. Le istituzioni in cima. Magari rappresentate dalle stesse facce che in vita lo ostacolarono.
Per un paese incline ai buoni sentimenti più che ai propri doveri non è una novità. Le apparenze vengono prima di tutto. D'altronde l'esercizio della memoria è sacrosanto, che come sosteneva Primo Levi "chi dimentica il proprio passato sarà condannato a riviverlo". Ma fa specie vedere tanta retorica grondare anche sui media e nei profili dei social network quando allo stesso tempo si è consapevoli dei meccanismi che ancora oggi si consumano sotto gli occhi di tutti ogni santo giorno nell'apparente normalità, all'ombra delle istituzioni; le aderenze, le connivenze che spingono gli interessi e creano di sana pianta carriere eccezionali, fortune colossali a scapito della povera gente. Escludendo gli uni, favorendo gli altri. Generando ingiustizie su ingiustizie.
Io il 23 Maggio del 1992 avevo sedici anni. Un ragazzino. Di quel giorno ricordo la luce del sole particolarmente intensa. Un calore accecante. Sotto il cielo della Sicilia ricordo chilometri di asfalto. Come se quel giorno avessi percorso a piedi tutte le strade del mio paese. E la polvere. La notizia mi colpì senza sorprendermi, perchè la testa mi faceva dire che presto o tardi gliela avrebbero fatta pagare. Qualcosa di ineluttabile. Egli aveva osato infrangere lo status quo. Una legge non scritta che conoscevamo bene per esserci cresciuti attorno, quella della jungla, la legge del più forte, la legge di chi non rispetta la legge. La mafia uccise Falcone, come più tardi Borsellino. Alla parola mafia sul vocabolario si legge "organizzazione criminale". Una definizione fredda, asettica. Avremo imparato a capire presto che la mafia era anche, sopratutto, altro. Che stava nel Palazzo. Il potere senza diritto. Il diritto senza uguaglianza. Una cultura e una prassi, tentacolari, diffuse in tutto il paese fin dentro le istituzioni e che da allora si combattono con il loro opposto, ovvero la legalità, la giustiza. Ma finché per un ragazzo delle periferie degradate non ci saranno alternative alla malavita, finchè l'emarginazione e l'esclusione lo costringeranno a una vita a senso unico, senza opportunità, senza prospettive, senza libertà, finché sarà più conveniente fare un lavoro sporco che buttare il sangue per un lavoro pulito che non c'è, la cosidetta mafia avrà sempre carne giovane a disposizione, humus fertile dove affondare le proprie radici. Non c'è lotta alle mafie senza progresso. Ma bisogna rimboccarsi le maniche. Darsi da fare in concreto oltre le commemorazioni. Intervenire sulle condizioni materiali facendo il proprio dovere come Falcone e Borsellino, ognuno per il ruolo che gli compete. Ma per favore, senza paraocchi e senza retorica. Per il resto state tranquilli, ritornerò a scrivere di stronzate.

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